L’assenteismo si manifesta attraverso la ripetuta assenza di un dipendente dal posto di lavoro durante l’orario ordinario, per propria volontà e in modo ingiustificato. Tale fenomeno si può esprimere attraverso assenze ingiustificate, mancanza di puntualità o di rispetto dell’orario di lavoro, uso frequente di permessi retribuiti, nonché ricorso sistematico ai permessi per malattia.
L’assenteismo provoca gravi danni alle aziende (soprattutto piccole e medie imprese), in cui la mancanza ingiustificata di anche poche unità lavorative può compromettere l’intero processo di produzione. Il datore di lavoro, infatti, è spesso costretto ad adottare provvedimenti onerosi per sostituire il dipendente assenteista, senza contare che le assenze eccessive aumentano i costi dell’impresa stessa.
Da non sottovalutare, infine, che questa dinamica, perpetrata alla lunga, procura non pochi malumori e danni anche ai colleghi d’ufficio, che si trovano spesso costretti a dover sopperire alle frequenti e ingiuste assenze sovraccaricati di lavoro e di responsabilità non di loro competenza.
Le motivazioni sono nella maggior parte dei casi:
Ed è su questo terzo punto che si rimane particolarmente interdetti… Ebbene sì, esistono davvero, e pochi non sono i furbetti che portano il datore di lavoro allo sfinimento, al punto da farsi servire su un piatto d’argento il licenziamento per giusta causa. Ma vediamo il perché di questo meccanismo “deplorevole” ma legittimo.
Innanzitutto, a livello legislativo, l’assenteismo dal lavoro può determinare il licenziamento per giusta causa esclusivamente quando la condotta del lavoratore è così grave da non consentire la prosecuzione del rapporto lavorativo, in quanto viene meno il vincolo fiduciario tra lo stesso e il datore di lavoro.
I lavoratori dipendenti che perdono involontariamente il proprio posto di lavoro hanno diritto alla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego): l’indennità mensile di disoccupazione. Tale diritto all’indennità spetta anche ai lavoratori licenziati per motivi disciplinari, in quanto, a detta del Ministero del Lavoro, questo tipo di cessazione del rapporto lavorativo non è automaticamente conseguente al comportamento del dipendente, ma comunque riconducibile all’arbitrarietà del datore di lavoro.
Pertanto, il licenziamento per giusta causa, rientrando nella disoccupazione involontaria, permette al lavoratore assenteista e scorretto di ricevere l’indennità, misura che invece non gli spetterebbe nel caso di dimissioni volontarie.
Quindi, un dipendente che non si sia più recato al lavoro per propria volontà e in modo ingiustificato, e che abbia commesso delle violazioni agli obblighi contrattuali, ha diritto all’indennità di disoccupazione, a differenza di chi presenta correttamente le dimissioni. Cosa significa questo?
Appare chiaro che il dipendente intenzionato a lasciare il lavoro sia più incentivato a non presentarsi definitivamente in azienda, “costringendo” il datore ad avviare il licenziamento e lo Stato a pagare il sussidio.
I dati, infatti, parlano chiaro: dal marzo 2016 si è registrata un’impennata dei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo (più del 26,5%), rispetto ad una contingente diminuzione delle dimissioni volontarie.
L’Agenzia di Investigazione Sis Investigazioni effettua indagini mirate a dimostrare l’assenteismo dei dipendenti, fornendo dossier completi di materiale fotografico e video. L’azienda, in possesso di tale documentazione, può tutelarsi e dimostrare il danno provocato dal dipendente assenteista, qualora ci fosse l’intenzione di procedere con un provvedimento di licenziamento.